Quelli che #ioNONrestoacasa. Kamikaze, semplici imbecilli o c’è dietro qualcos’altro?

Occupandomi da tempo anche di corsi di formazione sul tema della comunicazione e dei comportamenti nell’ambito della sicurezza sul lavoro (prima in collaborazione con uno psicologo del lavoro molto esperto, ora insieme all’Avv. Giovanna Rosa), cerco di dare una spiegazione al fatto che nei giorni scorsi, e in alcune zone ancora oggi, molti non abbiano rispettato la richiesta di stare a casa e addirittura si siano riuniti in spazi pubblici, correndo il rischio di contagiarsi e di contagiare. Comportamenti insensati agli occhi dei più ma che in realtà trovano una spiegazione almeno parziale nei seguenti fattori:
Fattori comunicativi
Un momento chiave della comunicazione è rappresentato dalla conferenza stampa quotidiana del Direttore della Protezione Civile e del referente dell’Istituto Superiore di Sanità, riproposta poi sinteticamente da tutti i telegiornali. I partecipanti sono sicuramente brave persone e, immagino, anche professionisti competenti ma molte delle modalità di comunicazione utilizzate hanno rischiato e rischiano di far arrivare un messaggio distorto. Vediamoli:
1. Il fatto di sottolineare in maniera costante, quasi ossessiva, che i decessi riguardano soprattutto persone di età avanzata e con patologie pregresse, viene interpretato da molte persone in questo modo ‘Beh, io non sono compreso in quelle fasce d’età e sono in ottima salute, quindi il problema del virus non mi tocca e posso continuare la mia vita abituale’
2. Caratteristiche della voce e del linguaggio del corpo che non trasmettono la gravità della situazione. Nella comunicazione è sì importante ciò che si dice ma è molto importante anche come lo si dice. Infatti se le caratteristiche della voce ed espressioni, sguardi, posture ecc. non sono in sintonia con le parole, c’è il concreto rischio che il messaggio inviato non sia efficace e prevalga la comunicazione inviata dalla voce e dal corpo. I soggetti che parlano durante la conferenza stampa adottano posture piuttosto rilassate, le espressioni sono relativamente tranquille e i toni di voce sono pacati o, in alcuni casi, asettici, privi di emozioni. In un’occasione, addirittura, mi è capitato di vedere i due soggetti, alla fine delle conferenza stampa (quando pensavano che il collegamento fosse terminato), darsi una pacca sulla spalla e scambiarsi un gran sorriso. Tutti elementi che non trasmettono efficacemente la gravità della situazione e che non fanno capire l’importanza del fatto di rimanere a casa e limitare i contatti sociali. Anche la stessa distanza tenuta tra i soggetti durante la conferenza stampa o rispetto ai giornalisti durante le interviste è limitata e manda il messaggio che si può anche stare vicini…
3. Il linguaggio utilizzato dai vari esperti è eccessivamente specialistico e non comprensibile da buona parte della popolazione. Termini come ‘paucisintomatici’, ‘comorbilità’, ‘droplet’, ecc. per molte persone sono incomprensibili, andando contro al principio fondamentale della comunicazione che afferma che, per essere compresi, bisogna utilizzare un linguaggio comprensibile dai destinatari del messaggio
6. Utilizzo di parole ‘positive’ che non comunicano la gravità della situazione. Le parole, oltre ad essere ‘mezzi di trasporto di significato’, sono anche degli ‘attivatori’ di emozioni positive, negative o neutre. Quindi potrei esprimere il medesimo significato utilizzando due sinonimi, i quali però potrebbero attivare emozione di segno opposto. I soggetti che tengono le conferenze stampa di cui sopra, utilizzano consapevolmente termini dalla valenza emotiva positiva o neutra, per cercare di tranquillizzare la popolazione (ad esempio il termine neutro ‘situazione’ al posto del termine negativo ‘problema’), con il risultato di non far percepire la gravità del tutto o la perentorietà degli inviti a limitare i contatti sociali.
7. Sempre per cercare di tranquillizzare, le informazioni sono inviate con quella che nel campo delle vendite viene chiamata la ‘tecnica del panino’, ossia inserendo al centro dell’esposizione l’informazione negativa e all’inizio e alla fine i messaggi positivi. E’ una tecnica che si basa sul cosiddetto ‘effetto ritenzione’, un meccanismo di funzionamento del nostro cervello che ci porta a ricordare con maggiore facilità le informazioni che sono all’inizio e alla fine di una serie di informazioni ricevute e di ricordare con meno facilità o addirittura dimenticare le informazioni che si trovano al centro di tale serie. Se ci fate caso si inizia sempre con il numero dei guariti e con l’elenco delle attrezzature messe a disposizione, poi in pochi secondi si parla dei contagiati e dei deceduti, infine si sottolinea l’apparente elemento positivo rappresentato dall’età avanzata di quest’ultimi. In questo modo, però, ancora una volta, viene percepito in modo edulcorato, attutito, smorzato, il grado di gravità della situazione
8. La disomogeneità dei pareri degli esperti ha generato disorientamento e, per una sorta di meccanismo di autorassicurazione, la scelta inconscia di ascoltare i pareri più ottimistici. Alcuni esperti dicevano che si trattava di poco più di un’influenza, altri che si trattava di un virus molto pericoloso e così per altri aspetti del problema. In questa situazione, per molti, è molto più comodo e richiede meno energia psichica ascoltare le versioni più ottimistiche ed evitare di preoccuparsi o di effettuare un cambiamento
9. Negozi e aziende aperti hanno rappresentato e rappresentano un fattore di forte incongruenza comunicativa rispetto alla gravità dell’epidemia e alla richiesta di stare a casa. Come detto prima, i comportamenti sono spesso più importanti delle parole e tutti noi tendiamo, consapevolmente o inconsapevolmente, a dare maggiore importanza alle azioni e ai comportamenti, rispetto alle parole. Affermare che il virus era pericoloso e lasciare aperti musei e negozi (nella prima fase) e aziende (nella fase attuale) manda un messaggio che può venire recepito in questo modo: ‘sarà anche una cosa seria, ma se gli esperti hanno lasciato aperto prima i negozi e ora le aziende, vuol dire che non è poi così grave…’. Preciso che sto trattando solo i risvolti comunicativi e non tengo conto di quelli economici o politici, questo sarebbe un altro discorso.
10. L’invito rivolto alla popolazione di agire ‘con senso di responsabilità’, rimanendo a casa o limitando i contatti sociali, è tipico di uno stile manageriale di tipo delegante (secondo l’interessante teoria della Leadership Situazionale postulata da Blanchard), il quale però funziona solamente quando ci si trova di fronte a soggetti maturi, che possiedono tutte le competenze per poter valutare la situazione in cui si trovano e che sono fortemente motivati ad affrontarla. Ma, anche per i motivi culturali di cui tratterò di seguito, questa non è la situazione in cui si trova la popolazione italiana. Noi non abbiamo le competenze per comprendere la situazione fino in fondo e molti di noi non sono nemmeno motivati ad approfondire il tema o a mettere in atto le indicazioni degli esperti. In situazioni di questo tipo, lo stile manageriale più adatto è quello di tipo ‘direttivo (non autoritario) o ‘guida’, ossia un approccio che deve portare il gestore della situazione a dare indicazioni perentorie, tassative, facendo una verifica attenta puntuale, precisa e costante dell’attuazione delle stesse. Certo, cercando di spiegarle ma senza transigere sui punti fondamentali dei comportamenti richiesti

Fattori culturali.
Ci sono poi una serie di fattori culturali che hanno contribuito all’adozione dei comportamenti che sto analizzando:
1. Nella nostra era, essere attivi in ogni momento e in ogni condizione di salute è una sorta di valore supremo, tanto che molti medicinali da banco promettono di far sparire subito i sintomi dell’influenza in modo da non perdere la riunione di lavoro o la partita di squash… E’ possibile che molte persone non abbiano assecondato i primi sintomi e abbiano continuato ad uscire o ad andare al lavoro, aumentando il questo modo la diffusione del contagio.
2. Sottovalutazione del rischio derivante da ipervalutazione delle proprie capacità: ‘tanto a me non succede, succede solo agli altri’. Questa è una delle costanti che emergono quando mi capita di confrontarmi con operatori aziendali che non rispettare le normative sulla sicurezza, molte persone hanno un’autostima eccessiva e ritengono che i problemi possano accadere solo agli altri, esponendosi così a pericoli importanti. Le statistiche sugli infortuni affermano infatti che i soggetti più a rischio sono quelli con molta esperienza e quelli con poca esperienza… I primi perché sottovalutano i pericoli, i secondi perché non li sanno prevedere.
3. Fatalismo. Quante volte abbiamo sentito dire ‘se deve succedere, succede’, ‘se è arrivata la mia ora lascia che sia’, ‘sarà quel che Dio vorrà’… Molte persone hanno infatti un atteggiamento di tipo fatalistico, basato sul principio che ci siano entità superiori che decidono il nostro destino e dimenticando che siamo noi, con i nostri comportamenti, ad influenzare, per lo meno parzialmente, l’andamento delle cose. A riguardo, cito sempre una frase di Enzo Ferrari, il fondatore della famosa casa automobilistica: ‘Fortuna e sfortuna non esistono, esistono solo circostanza favorevoli o sfavorevoli. La fortuna, è il frutto di tutto ciò che abbiamo seminato, magari senza rendercene conto; la sfortuna, è il frutto di tutto ciò che non abbiamo saputo prevedere’.

Il moltiplicatore: il conformismo sociale
Tutti gli elementi indicati sopra, hanno portato un buon numero di persone a non rispettare le indicazioni delle autorità. Ciò ha poi generato un effetto moltiplicatore, derivante dal fatto che gli esseri umani, di solito, tendono a riprodurre il comportamento dei gruppi di riferimento. Spesso, infatti, pensiamo che ci sia un buon motivo per il quale molte persone si comportano in un certo modo e li seguiamo senza porci troppe domande, anche perchè costa meno fatica e non corriamo il rischio di sentirci ‘diversi’. Ci sono molti esperimenti che dimostrano che molti essere umani, di fronte a situazioni di pericolo, non adottano il comportamento manifestamente corretto quando un buon numero di componenti del gruppo adotta il comportamento sbagliato…

Potrei parlare anche di altri elementi che hanno portato a questa situazione ma mi fermo qui.